I " PERCHE' " DI UNA GUERRA

di M. Di Schiena


Perché l'attacco americano all'Iraq è diventato una questione estremamente rilevante di dimensioni planetarie nonostante si tratti, a ben guardare, di una "piccola guerra" dall'esito scontato per l'enorme sproporzione delle forze in campo? Se lo chiede, interpretando forse un interrogativo diffuso tra molti osservatori, Eugenio Scalfari su "la Repubblica" del 29 settembre, osservando come l'enorme coinvolgimento politico ed emotivo provocato dall'approssimarsi del conflitto non sia spiegabile solo con le invocate ragioni della sicurezza contro l'asserita disponibilità di Saddam Hussein di armi di distruzione di massa o con la lotta al terrorismo per ottenere un mutamento di regime in uno "stato canaglia" ovvero con l'interesse degli Stati Uniti di assicurarsi un più sicuro controllo sulla produzione del petrolio nel Medio Oriente e neppure con le tragiche reazioni che la guerra "preventiva" ed "unilaterale" potrebbe provocare nel mondo arabo e musulmano.

Il motivo prevalente della grande importanza assunta dalla guerra irachena sarebbe, secondo questo assunto, da ricercare nella decisione di Bush di affermare il dominio politico del suo Paese sul mondo, una scelta resa esplicita dalle perentorie intimazioni indirizzate all'Onu che è stato messo di fronte all'alternativa di adeguarsi ai dettami della Casa Bianca o di firmare il suo certificato di morte. C'è indubbiamente del vero in tale tesi perché sono molte le ragioni che rendono la guerra contro l'Iraq, immorale ed iniqua come tutte le guerre, più odiosa e nefasta delle altre e perché tra queste ragioni vi è certo quella, rivendicata senza veli da Washington, rinvenibile nella pretesa dell'amministrazione americana di governare a proprio piacimento l'intero pianeta senza l'inciampo delle Nazioni Unite e del diritto internazionale.

Ma l'opinione di Scalfari, che pur mette in rilievo una causa importante del moto di risentimento e di ripulsa provocato dalla pretesa "imperiale" di Bush, si muove esclusivamente dentro la logica dei rapporti di forza e di prestigio fra le maggiori potenze e si espone perciò a due rilievi di fondo: per un verso, la sottovalutazione della rivolta morale di larghissima parte della coscienza internazionale contro gli attacchi americani che sempre più frequentemente si vanno ripetendo con l'impiego di armi sofisticate e micidiali che seminano dolore e morte devastando impietosamente le più misere e disastrate regioni del mondo e, per altro verso, la riluttanza a cogliere la progressiva presa di coscienza da parte dell'opinione pubblica mondiale dell'intrinseca iniquità del capitalismo specialmente nell'attuale versione neo-liberista, di quel "turbocapitalismo" che divide l'umanità fra un'élite di vincenti ed una massa sterminata di perdenti, che assolutizza il profitto e mercifica la vita, che devasta la natura e l'ambiente, che condanna all'indigenza e alla fame interi popoli nel terzo e quarto mondo ed anche milioni di uomini nell'opulento occidente.

Ed allora, il motivo preminente, la ragione delle ragioni per cui l'attacco all'Iraq è percepito da tutti, popoli e persone, come un evento drammatico per le sorti dell'umanità, come una discriminante tra la ragione e l'arbitrio ed una scelta fra il diritto e la forza, risiede nella generale intuizione, con i suoi diversi livelli di cognizione e di consapevolezza, che quella incredibile guerra è il segno e lo sbocco della crisi del "pensiero unico" e del sistema economico dominante, di una politica cioè che sta divorando se stessa e che per sopravvivere alle sue contraddizioni ed ai suoi disastri non trova altra via che quella del ricorso all'intimidazione, alla sopraffazione ed alla violenza delle armi. Le crescenti disuguaglianze ed i guasti ecologici, un mercato che sempre più spesso tradisce persino le sue ciniche leggi premiando la disonestà sulla forza, l'indebolimento delle democrazie e l'attacco ai diritti sociali, la limitazione delle libertà e delle garanzie civili per i cittadini, l'intolleranza verso culture diverse, l'incubo della recessione ed il crollo delle borse, il sostegno alle ingiustizie ed alle violenze degli "stati vassalli" e la violazione sistematica delle regole della convivenza internazionale sono le più vistose manifestazioni di un disagio gravissimo del blocco economico-politico-militare che domina il mondo, gli spasmi provocati da una malattia certamente incurabile.

E' questa una lettura di quanto sta avvenendo certo ostica per chi ha fatto fino a ieri atto di fede nelle sorti "progressive" del liberismo e nella missione statunitense di libertà e democrazia. Ma i fatti sono argomenti testardi con i quali prima o poi bisogna fare i conti e la cupa stagione che stiamo vivendo richiede ripensamenti critici e coraggiose scelte di coscienza.

Brindisi, 1 ottobre 2002

Michele DI SCHIENA

 

:: Osservatorio  di Michele Di Schiena
Il no alla guerra del "popolo dei popoli"
Una guerra illegittima
Guerra, proteste e legalità costituzionale
Contro la guerra per "amor di patria" e per "amor di mondo"
La guerra all'Irak e l'"uomo d'onore"
La guerra preventiva e la Costituzione 
I "perché" di una guerra