L’ IDENTITA’ SCOMODA DEL POPOLO DI SEATTLE

 

Il movimento contro la globalizzazione liberista è una marea montante di proteste e di speranze, un insieme di culture e di sensibilità diverse che vogliono bloccare il ritorno alla barbarie contrabbandato per modernizzazione; un coagulo di denunce e di istanze che, quale segno massiccio di contraddizione, prendono ruvidamente corpo nei luoghi e nei  momenti assunti a simbolo del potere dei Paesi più ricchi e più forti che, privi di qualsiasi legittimazione democratica in dimensione mondiale, si arrogano il diritto di decidere le sorti dell’intera umanità. E’ un movimento costruito solo da reti informative e da convergenze spontanee, privo di strutture che possano essere disarticolate con formali criminalizzazioni e privo anche di formali rappresentanze che sia possibile in qualche modo istituzionalizzare, normalizzare o assorbire, come in questi giorni si è cercato invano di fare in occasione dei contatti del Governo italiano col portavoce e la delegazione del Social Forum di Genova.

La criminalizzazione e la cattura istituzionale sono infatti le due direttrici strategiche sulle quali si muove il coacervo dei potentati economici e politici che vogliono abbattere un fenomeno inedito, un moto di coscienze non ideologico, diffuso e dotato di grande mobilità, nei confronti del quale risultano inefficaci o addirittura controproducenti gli strumenti tradizionalmente usati dai poteri forti per emarginare e combattere tutto ciò che ad essi tenta di opporsi. Ma la criminalizzazione e la istitituzionalizzazione, due vie solo in apparenza contrastanti, hanno entrambe bisogno di un’opera massiccia di mistificazione: la prima per fare apparire il movimento come inconcludente, estremistico e violento e la seconda per fargli accettare il filtro letale che lo trasformi in una sorta di raggruppamento genericamente ecologista, portatore soltanto di richieste settoriali rivolte a porre in qualche modo rimedio ad alcuni guasti della globalizzazione provocati dal sistema economico imperante senza però risalire alla loro origine e senza chiamare in causa il sistema medesimo. Un movimento quindi al quale si può concedere gattopardescamente qualcosa purché il modello, l’impianto e l’organizzazione dell’economia mondiale rimangano rigorosamente come prima.

“Che fa il nesci, eccellenza, o non lo ha letto? / Ah! intendo: il suo cervel, Dio lo riposi, / in tutt’altre faccende affaccendato, / a questa roba è morto e sotterrato”: la provocatoria domanda e l’ambiguo augurio della satira di Giuseppe Giusti possono, volti al plurale, essere oggi idealmente indirizzati dai giovani del movimento agli 8 Grandi che il 20 luglio si riuniranno a Genova per portare avanti il discorso della loro globalizzazione. E sì, perché le “eccellenze” dei G8, col loro lungo corteo di accoliti e di intellettuali organici, fanno finta di non aver letto il “manifesto” del popolo di Seattle o di non capire che questo “popolo” non è contro una globalizzazione che annulli le distanze, riduca le differenze e promuova un progresso vero e solidale ma contro la globalizzazione neoliberista a causa della quale il 20% dell’umanità consuma l’80% delle risorse mondiali, cresce il divario tra i Paesi ricchi ed i Paesi poveri, si allarga la miseria anche all’interno dei Paesi più progrediti e folle di diseredati si presentano alle porte di un Occidente chiuso in se stesso e incapace di progettare il futuro. E ciò mentre l’Onu risulta sempre più chiaramente un organismo privo di qualsiasi efficace potere di intervento per combattere squilibri ed ingiustizie.

Fingono quindi i G8 di ignorare ciò che unisce quei giovani, la convinzione cioè che il neoliberismo e la sua globalizzazione sono fattori di regressione della civiltà perché all’origine di un sistema che bandisce la solidarietà, abbatte le protezioni per i più deboli, assolutizza il mercato, mercifica la vita, rende servile il lavoro, assume a norma di comportamento la guerra di tutti contro tutti ed eleva a bene supremo il dominio ed il profitto: un mostro famelico dunque che tutto prende, tutto consuma e, novello conte Ugolino di dimensioni planetarie, finisce per mangiare i suoi figli e forse alla fine per divorare se stesso.


Ed ancora, sanno benissimo gli 8 Grandi, con i loro mentori ed i loro collaboratori, che il popolo di Seattle rifiuta la violenza e trae la sua ispirazione e la sua forza dai grandi ideali e dalle dure lotte del movimento operaio, dai valori e dalle esperienze religiose genuinamente trasformatrici e liberanti, dalla ribellione disarmata di Ghandi, dal “sogno” esaltante di Martin Luter King , dalla passione per la pace di Giorgio La Pira, dal vigore morale di Nelson Mandela e dalla speranza di tutti i profeti di tutte le nuove frontiere.

Brindisi, 6 luglio 2001

Michele DI SCHIENA

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