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       La nostra ragione
      di Vittorio Agnoletto 
       
      Undici settembre, sono appena arrivato a Porto
      Alegre, insieme a Perez Esquivell, premio Nobel per la Pace, per la
      cerimonia di lancio del Forum Sociale Mondiale, che per la seconda volta
      si svolgerà nella capitale del Rio Grande do Sul dal 31 gennaio al 5
      febbraio in concomitanza e in contrapposizione col vertice del grandi a
      Davos. E' il vicesindaco che ci comunica la notizia degli attentati
      criminali di Washington e New York. Immediatamente tutti percepiamo
      l'enormità della tragedia e i pericoli e le incertezze che si profilano
      all'orizzonte per l'insieme dei nostri movimenti e per l'umanità tutta.
      Per gli amici e compagni sudamericani la memoria ritorna velocemente a un
      altro 11 settembre, quello del '73, quando il golpe del generale Pinochet
      contribuì a sprofondare l'intero continente latinoamericano negli anni
      bui della dittatura. 
      All'apertura del convegno pomeridiano leggiamo, a nome del Forum Sociale
      Mondiale, una dichiarazione che condanna duramente gli attentati, esprime
      solidarietà al popolo americano e chiama alla mobilitazione i movimenti
      sociali per evitare che la vendetta che la guerra, con il loro seguito di
      migliaia di morti innocenti, sostituiscano una ricerca della giustizia dei
      colpevoli; alta è anche la preoccupazione che qualcuno pensi di
      utilizzare la tragedia statunitense per ridurre gli spazi di democrazia e
      per criminalizzare i movimenti contro questa globalizzazione ed arrestarne
      la loro forte diffusione. 
      Quarantott'ore dopo, il mio rientro in Italia, questo timore è diventata
      la realtà con la quale dobbiamo confrontarci. 
       
      Ragioni profonde 
      Oggi siamo solidali col popolo americano e con le donne e gli uomini di
      New York e di Washington e siamo vicini alla loro immensa sofferenza. Per
      la stessa ragione per la quale non riusciamo a restare indifferenti di
      fronte ad 800 milioni di persone che muoiono di fame, ai 40 milioni che
      muoiono di Aids, e ad oltre un miliardo di esseri umani che non hanno
      accesso all'acqua potabile; non riusciamo ad entusiasmarci per i profitti
      delle multinazionali e per gli affari dell'industria bellica. Non
      sopportiamo che centinaia di migliaia di neri siano relegati nelle
      periferie delle nostre città, sempre più simili a delle discariche
      sociali, come non tolleriamo l'apatia generale di fronte alle
      "riserve indiane" dove vogliono rinchiudere milioni di
      palestinesi. E sono queste le ragioni che oggi come ieri ci contrappongono
      al sistema politico-economico ove si intrecciano gli interessi delle
      multinazionali, delle lobby e del governo Usa. Anche in questo drammatico
      momento, mentre esprimiamo solidarietà al popolo americano, rivendichiamo
      il nostro diritto al dissenso. 
      Noi oggi abbiamo una responsabilità ancora maggiore: un movimento di
      massa, pacifico, democratico e diffuso in tutti i continenti impegnato
      contro le incredibili sperequazioni tra l'emisfero Nord e quello Sud che
      è forse il maggiore antidoto contro il diffondersi del terrorismo; a
      patto che riusciamo ad ottenere alcune vittorie capaci di restituire
      speranza. La tragedia più grande per un essere umano infatti è quando
      una condizione di miseria e di malattia è accompagnata dall'assenza di
      qualunque speranza di poter trasformare il proprio futuro. Ed è in questo
      contesto che il terrorismo può sperare di reclutare dei disperati
      disposti al suicidio; un terrorismo che non parla certo a nome dei poveri
      di questo pianeta ma che anzi espropria ulteriormente le grandi masse dal
      poter costruire collettivamente la propria storia. Al linguaggio di morte,
      all'esternazione di una potenza cieca ed omicida da parte del terrorismo
      il movimento contrappone una cultura della vita per un mondo più giusto
      che deve e che può essere costruito collettivamente col protagonismo di
      tutti. 
       
      Diritti da conquistare 
      Una delle migliori dimostrazioni di come sia errato definire questo
      movimento "contro la globalizzazione" piuttosto che "contro
      questa globalizzazione" è proprio l'impegno che collettivamente
      poniamo per la globalizzazione dei diritti, oltre qualunque confine; ed è
      questa la formidabile risorsa che abbiamo anche per evitare strumentalismi
      verso guerre di religione. Nel movimento collaborano insieme, nel rispetto
      delle specifiche storie persone con filosofie e religioni differenti: ci
      unisce la lotta per garantire a tutta l'umanità un futuro degno di essere
      vissuto. 
      E' necessario battersi per un ruolo centrale dell'Onu riformata in senso
      democratico ove tutti abbiano eguale diritto di voto e nessuno di veto. E'
      necessario però rifiutare le guerre anche qualora queste avvengano sotto
      l'insegna delle Nazioni unite; nulla può giustificare migliaia di morti
      innocenti. 
      Stiamo lavorando insieme al movimento, le chiese, i sindacati, le
      associazioni per i diritti umani degli Usa per organizzare una delegazione
      del movimento italiano e forse europeo che si rechi negli Stati uniti per
      portare la nostra solidarietà concreta alla popolazione e per aiutare lo
      sviluppo di un movimento democratico contro la guerra, per cercare di
      rompere quella sensazione di "accerchiamento" vissute da milioni
      di statunitensi attraverso la quale il governo Bush cerca di raccogliere
      consenso per scatenare la guerra. Un impegno difficile ma al quale il
      movimento italiano, guardato in tutto il mondo con grande rispetto per la
      forza e la dignità dimostrate nelle drammatiche giornate di Genova, non
      può sottrarsi. 
      Proprio la consapevolezza della responsabilità che su di noi oggi grava
      ci ha spinto a lanciare una campagna contro il terrorismo e la guerra, e
      per la pace e la giustizia sociale: iniziamo oggi una settimana di
      mobilitazione in tutte le città d'Italia in occasione del vertice Nato a
      Napoli per giungere infine alla grande manifestazione del 14 ottobre in
      occasione della Perugia-Assisi. 
       
      Parlare a tutti 
      Potremo avere la capacità di comunicare con le fasce più ampie possibili
      della popolazione, di mobilitare tutti quei settori del mondo del lavoro,
      della cultura e del mondo scientifico che guardano con simpatia il
      movimento: ognuno dovrà utilizzare le proprie competenze per convincere i
      propri colleghi, il proprio vicino. 
      Mai come oggi la lotta per la pace è quanto di meno aleatorio esista: non
      è uno degli impegni fra i tanti; non è la seppur importante solidarietà
      ai settori sociali in lotta o il necessario impegno a fianco di un popolo
      contro la dittatura è una lotta per garantire il futuro all'intera umanità. 
      da "il
      manifesto" del 20/09/01 
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