L'informazione in tempo di guerra.
 
Ho provato a calarmi nei panni di un esperto militare per riassumere in
alcuni punti chiave le strategie mediatiche utilizzate negli ultimi anni
dalle nostre Forze Armate e dall'Alleanza Atlantica per legittimare i
conflitti armati che hanno avuto come protagonista anche l'Italia. Il
risultato e' un "manuale per la Propaganda di Guerra" che comprende un
elenco impressionante di strategie e tecniche di manipolazione
dell'informazione e delle coscienze, a cui il movimento per la Pace dovra'
rispondere con altrettanta lucidita' ed efficacia per evitare di essere
schiacciato dall'"informazione a senso unico" che e' gia' entrata in azione
ben prima dei pacifisti, come dimostra l'editoriale di Lucio Caracciolo su
"Repubblica" del 26 settembre, un articolo che ho letto solamente dopo aver
realizzato questo scritto, ritrovando le tecniche da me descritte applicate
con sapiente maestria.
 
Di Carlo Gubitosa
 
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Piccolo manuale per la Propaganda di Guerra.
 
"La prima battaglia e' quella che si vince sul teleschermo"
(Anonimo)
 
Il punto fondamentale da cui partire e' la ricerca della "Giusta Causa", un
fatto reale ampiamente condannabile dal punto di vista etico e politico, a
partire dal quale compiere azioni che di etico hanno ben poco. (Esempi di
"Giuste Cause": Invasione del Kuwait, repressione della popolazione
albanese del Kossovo, azioni terroristiche)
 
Si passera' in seguito all'individuazione, personalizzazione e
demonizzazione del "Nemico". Negare o nascondere ogni legame passato o
presente, economico o politico con il nemico. Togliere ogni visibilita'
mediatica alle domande scomode: Chi ha venduto le armi a Saddam ? Chi ha
fatto affari con Milosevic e Bin Laden prima che si trasformassero nel
"nuovo Hitler" e nel capo del nuovo "Impero del Male" ? Far sfogare sul
nemico personalizzato l'odio e la rabbia creata ad arte nell'opinione
pubblica dimenticandosi che fino a ieri il "nemico" era anche nostro
partner di affari e che continua a gestire i suoi soldi tramite le nostre
banche. Affrontare la questione del segreto bancario con molta delicatezza.
Anche se l'eliminazione dei paradisi fiscali e del segreto bancario sulle
transazioni internazionali sarebbero decisive per "ostacolare" il "nemico",
il terrorismo, il narcotraffico e il commercio delle armi, queste soluzioni
non vanno assolutamente menzionate.
 
Bisognera' poi prestare particolare attenzione alla ricerca di un eufemismo
per non impiegare mai l'uso della parola "guerra" (Operazione di Polizia
Internazionale, Missione Umanitaria, Operazione antiterrorismo)
 
Ricordarsi di presentare all'opinione pubblica una sola verita' al giorno.
In ogni conferenza stampa Nato o nelle dichiarazioni pubbliche dei capi di
Governo dei paesi in guerra va presentata una sola idea chiave che sara' il
titolo dei giornali del giorno successivo. Questo ha il compito di
semplificare il lavoro dei portavoce che devono gestire una situazione
molto complessa, piu' facile da descrivere se trasformata in una
affermazione monodimensionale.
 
In seguito alle prime reazioni si adottera' come risposta l'ostracismo e
accuse di collaborazionismo con il nemico verso i giornalisti colpevoli di
aver dato voce alle vittime dell'azione militare. Il teorema e': chi non e'
mio amico e' necessariamente amico del mio nemico. Quando i giornalisti
presenti "sul campo" manifestano opinioni critiche o non allineate,
precisare che nei paesi dove vengono realizzate queste trasmissioni vige
una strettissima censura militare che rende quelle testimonianze prive di
valore.
 
Davanti ai crimini di guerra documentati, agli "effetti collaterali" e alle
responsabilita' dell'"Alleanza" negare l'evidenza. E' una tecnica
efficacissima perche' ormai l'opinione pubblica e' abituata ad affermazioni
anche grossolanamente inesatte da parte delle autorita' militari e
politiche e perche' comunque i giornali danno piu' risalto alle menzogne
"amiche" che alle affermazioni del "nemico" indipendentemente dal fatto che
siano vere o meno. Quello che sembra solamente faccia tosta e sfrontatezza
nella menzogna e' in realta' una spietata strategia di comunicazione
ampiamente collaudata.
 
Un altro punto chiave e' la spettacolarizzazione e trasfigurazione della
guerra. Anni e anni di "lavoro culturale" realizzato a testa bassa dai vari
Stallone e Shwarzenegger hanno dato i loro frutti trasformando ogni azione
militare in un pulito videogame. Inquadrare preferibilmente aerei, carri
armati, alta tecnologia, soldati "amici" puliti e contenti e far vedere il
meno possibile il volto del "nemico", che non va considerato nella sua
umanita', evitare il piu' possibile riferimenti o inquadrature sulla
popolazione civile.
 
Sara' opportuno utilizzare come al solito un "pool" di giornalisti amici, i
soli ad essere abilitati ai "briefing" Nato, per dare l'impressione di un
controllo democratico da parte della stampa dietro il quale si nasconde una
censura e una selezione preventiva dei soggetti abilitati a fare domande.
Ad essi va affiancato il lavoro certosino degli "intellettuali" allineati e
degli editorialisti compiacenti, con particolare riguardo per Ernesto,
Angelo, Lucio, Gianni, Paolo, Vittorio e altri che si sono gia' distinti in
passato per i servigi resi con le loro penne a beneficio della "Giusta Causa".
 
Cercare a tutti i costi la polarizzazione delle posizioni senza lasciare
spazio alle sfumature. E' molto piu' efficace ridurre la dialettica a un
semplice "guerra si' - guerra no" per includere nel "guerra si'" anche le
posizioni "guerra si' ma come intervento militare dei Caschi Blu ONU",
"guerra si' ma senza impiego di armi radioattive", "guerra si' ma non dal
cielo con bombardamenti a tappeto", "guerra si' ma senza violare le
convenzioni di Ginevra scegliendo obiettivi civili come ponti o palazzi
della televisione", "guerra si' ma non con bombe a grappolo che violano i
trattati per la messa al bando delle mine". Ovviamente una volta cooptate
queste posizioni nel semplice "Guerra si'", il fronte del "guerra no" sara'
messo forzatamente in minoranza.
 
Se le reazioni dovessero persistere bisognera'adoperarsi per la
ridicolizzazione e la banalizzazione delle posizioni espresse del movimento
pacifista. Utilizzare la tecnica "hai ragione ma e' meglio fare come dico
io", ovvero "quello che dici e' un'utopia molto bella e auspicabile, che io
condivido, ma ora c'e' un'emergenza e va gestita con realismo e con i piedi
per terra". Nei dibattiti pubblici selezionare figure "deboli", con una
scarsa preparazione teorica e politica, e mediaticamente poco efficaci per
dare l'impressione di una totale assenza di proposte concrete da parte di
chi critica l'intervento armato. Altre categorie utili in cui inquadrare i
pacifisti sono le seguenti: figli dei fiori, "quelli del G8", Black Bloc,
popolo di Seattle, ex-sessantottini, preti idealisti affetti da "buonismo"
cronico, ex-comunisti o veterocomunisti, ragazzini che non hanno ancora
capito la dura realta' della vita. Evitare assolutamente personaggi legati
al mondo accademico, ai centri di ricerca sulla Pace, alle reti di
formazione per la nonviolenza o a qualunque realta' in grado di
contrapporre una solida base teorica alla teoria dell'intervento armato.
Utilizzare la tecnica del "dov'erano": "dov'erano i pacifisti quando tizio
faceva questo?", utilissima per dimostrare ad arte che il pacifismo e' una
cosa che si rispolvera solo in caso di guerra e che non ha nessuna valenza
nel campo della prevenzione e della risoluzione pacifica dei conflitti.
 
Cercare per quanto possibile di utilizzare immagini con un forte impatto
emotivo, in grado di far scattare i meccanismi mentali che regolano
l'istinto, la rabbia e l'aggressivita', in modo da rendere cieca l'opinione
pubblica ad ogni discorso razionale, negato nei cuori e nelle coscienze da
una emotivita' esasperata artificialmente attraverso il video. Anche se non
e' di nessuna utilita' dal punto di vista informativo, si consiglia di
riproporre piu' volte al giorno sugli schermi televisivi la sequenza
dell'aereo che si schianta sulle torri gemelle per mantenere vivo lo shock
emotivo che puo' mantenere l'opinione pubblica saldamente dalla nostra parte.
 
Un'altra tecnica efficace e' la negazione e l'occultamento delle
alternative grazie ad un falso senso di informazione. Dare la maggior
quantita' di informazione possibile, anche nel caso in cui non si tratti di
dati rilevanti, purche' favorevoli alla nostra posizione e all'intervento
armato. Far perdere la visione d'insieme con una cronaca dettagliatissima
di aspetti marginali. In questo modo e' possibile soffocare le proposte
alternative alla guerra in un mare di informazioni, impossibili da gestire
se non con una necessaria semplificazione che va a nostro vantaggio, in
quanto la maggior quantita' di informazioni in circolazione spinge in
direzione della guerra. In quest'ottica sara' favorita la produzione a
ritmo serrato di una grande quantita' di notizie brevi, evitando il piu'
possibile l'approfondimento, i dossier, le retrospettive storiche e il
coinvolgimento di persone direttamente coinvolte nei problemi trattati, ai
quali vanno preferiti gli "pseudo-esperti" che dall'alto della loro
notorieta' o in virtu' di un titolo prestigioso sono pronti a riempire i
palinsesti dei nostri programmi televisivi.
 
Curare la gestione "umanitaria" dei profughi. L'inevitabile flusso di
profughi generato da ogni azione militare va gestito con molta attenzione
dal punto di vista mediatico, trasformando una massa umana costretta alla
fuga da un attacco militare in una popolazione sottratta a un regime
repressivo e finalmente approdata nella civilta' dove potra' ricevere tutte
le cure e le attenzioni necessarie, ovviamente fino allo spegnimento delle
telecamere.
 
Successivamente andra' curata l'enfatizzazione della vittoria e la gestione
della "mancata deposizione" del leader nemico. Saddam e' ancora li', e
Milosevic e' stato cacciato dalle elezioni, non certo dalle nostre bombe.
Poiche' probabilmente anche Bin Laden rimarra' in piedi sui cadaveri dei
suoi seguaci e delle vittime civili della guerra, al termine dell'azione
armata, enfatizzare il raggiungimento di altri obiettivi (che andranno
individuati al momento) e affermare in ogni caso l'idea che "abbiamo
vinto", "il nemico si e' arreso", "sono state accettate incondizionatamente
tutte le nostre condizioni".
 
Non stancare e non impaurire l'opinione pubblica. Gestire in maniera
efficace il rientro alla normalita' e la "chiusura della ferita". L'azione
militare va chiusa nel piu' breve tempo possibile. Nel caso cio' non
avvenga dare sempre meno rilevanza alle informazioni sugli sviluppi della
guerra, relegandole in coda ai telegiornali o nelle ultime pagine dei
quotidiani, in modo da non "tirare troppo la corda" rischiando il
malcontento dell'opinione pubblica e l'adesione alle idee contrarie alla
guerra. In nessun caso la popolazione dei nostri paesi deve sentirsi
minacciata o avere l'impressione di trovarsi in uno stato di guerra o di
forte militarizzazione, cosi' come non vanno messi assolutamente in
discussione i nostri privilegi, il nostro benessere o il nostro stile di
vita. La guerra deve essere sempre vissuta come una parentesi, anziche'
come il normale svolgersi di eventi intercalati da periodi piu' o meno
lunghi di "pacificazione" militare forzata. Questa tecnica e' gia' stata
sperimentata con successo durante la guerra contro la Jugoslavia, quando a
bombardamenti ancora in corso siamo riusciti a far dare come notizia di
apertura dei telegiornali la vittoria dello scudetto da parte del Milan. Al
termine dell'intervento armato chiudere rapidamente ogni strascico relativo
agli eventi in corso, senza approfondire le conseguenze dell'azione
militare sulle condizioni della popolazione civile e dei profughi,
sull'equilibrio ambientale e sulla situazione politica internazionale.
 
Tutte queste direttive vanno seguite scrupolosamente affinche' anche questa
guerra si trasformi in un eccezionale evento mediatico e in una grande
prova di forza per la nostra civilta' e la nostra democrazia. Tutti gli
operatori dell'informazione che proveranno a sottrarsi a questo progetto,
attraverso la produzione di informazioni non allineate o l'utilizzo delle
nuove tecnologie di comunicazione, verranno inesorabilmente marginalizzati
e penalizzati nella loro attivita' lavorativa grazie al controllo capillare
delle forze politiche, responsabili dell'intervento militare, sui grandi
gruppi dell'informazione, un controllo che in Italia e' favorito anche
dall'altissimo livello di concentrazione della proprieta' nel settore
dell'editoria, delle telecomunicazioni e del multimedia.
 
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Carlo Gubitosa č un giornalista freelance che collabora con l'associazione
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