ASSISI-PERUGIA: LA MARCIA CONTINUA

 

“Chiediamo cibo, acqua e lavoro per tutti”: la marcia per la pace Perugia-Assisi non si è conclusa nel pomeriggio del 14 ottobre perché lo spirito che l’ha animata e l’appello che ha voluto rivolgere al mondo la tengono viva non solo nei cuori e nelle menti dei trecentomila partecipanti ma anche negli itinerari di riflessione e di impegno quotidianamente percorsi in ogni parte del pianeta da quel “movimento dei movimenti” che ha posto la “questione delle questioni sociali” e cioè la difesa della vita della terra e la difesa della vita dei poveri. Si è detto che a Seattle come a Praga, che a Goteborg come a Genova c’era di tutto ed il contrario di tutto, si è messo in atto ogni tentativo di divisione e di intimidazione, si sono mobilitate schiere di conduttori e di giornalisti che forse sanno parlare e scrivere ma sono spesso incapaci di “leggere”, si sono cinicamente usati gli orribili attentati alle Torri gemelle ed al Pentagono per coprire le voci della ragione e dei diritti umani e si sta da ultimo utilizzando la giusta solidarietà verso il popolo statunitense per inneggiare con un raduno di parte ad una guerra che miete vittime tra gli innocenti senza colpire i terroristi.

Ma restano i fatti per i quali la “marcia” continua: ottocento milioni di persone che soffrono la fame e ventiquattromila che ogni giorno muoiono per mancanza di cibo, un miliardo e duecento milioni di esseri umani che non hanno accesso all’acqua potabile, centosessanta milioni di uomini e donne senza lavoro ed un numero enorme di occupati in lavori durissimi che vivono in condizioni di estrema povertà, duecentocinquanta milioni di bambini costretti a lavorare in situazioni terribili. Ed allora la “marcia” e le tante marce di quella galassia multicolore che è il Forum sociale mondiale di Porto Alegre non sono manifestazioni di una protesta generica, tutta giocata sul piano emotivo e priva di proposte, né la valvola di sfogo di un sistema che pretende d’essere il solo possibile.

Queste “marce” sono la contestazione del neoliberismo che devasta la terra e l’ambiente, che cerca di imporre ovunque il proprio modello economico e di sviluppo, che porta duri attacchi alla democrazia rappresentativa considerata un ostacolo da rimuovere, che impiega il suo braccio armato per vincere ogni resistenza ed omologare ogni diversità coprendosi talvolta dietro le guerre “umanitarie” e talaltra, come sta avvenendo in questi giorni, dietro la lotta al terrorismo. Le marce per la pace e contro la globalizzazione neoliberista non si fermano invero alla denuncia ma avanzano anche, aldilà delle tante interessate cortine del silenzio, proposte concrete come è avvenuto nei quattrocento “laboratori” durante il forum di Porto Alegre che ha indicato interventi e rimedi per la soluzione dei grandi problemi della fame e della alimentazione, del lavoro e dell’inquinamento, dell’energia e dell’acqua, della giustizia e dello sfruttamento minorile, dei trasporti e della scuola.

Ma torniamo un momento al problema della lotta al terrorismo che, per come è concepita e condotta dalla cultura e dal potere dominanti, somiglia molto ad una enorme coperta utilizzata per coprire omissioni, latitanze e responsabilità; una lotta che si sta rivelando giorno dopo giorno e sempre più chiaramente un grande inganno ed una grande tragedia. E sì, perché la lotta al terrorismo per essere moralmente accettabile e praticamente efficace deve muoversi su due piani: quello politico per la rimozione delle condizioni di miseria e di ingiustizia che favoriscono ed alimentano il terribile fenomeno e quello delle attività di una investigazione veramente intelligente (i servizi di “intelligence” con licenza di uccidere sono la negazione della intelligenza) e delle operazioni di polizia rivolte a colpire, in modo mirato e con mezzi adeguati, le organizzazioni terroristiche per neutralizzarle e punire i responsabili. Ed in proposito dovrebbe essere chiaro che la lotta al terrorismo sul versante politico non si fa tanto, come ritiene il Presidente Bush, cercando l’appoggio dei governi quanto meritando il consenso dei popoli così come, sul versante operativo, non va questa lotta condotta con le armi per abnormità “improprie” delle bombe e dei missili ma con l’impiego di strumenti che non seminino indiscriminatamente distruzioni e morte accrescendo odio ed istinti di vendetta. Le operazioni di prevenzione e repressione (non la guerra) per essere poi legittime non dovrebbero mai, sul piano interno, intaccare diritti civili e sociali costituzionalmente garantiti e, sul piano internazionale, dovrebbero sempre svolgersi, dopo eventuali fasi di “autotutela” necessariamente brevi e provvisorie, per iniziativa del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e sotto la responsabilità di un comando che ad esso faccia capo.

A ben guardare, le marce e le iniziative in favore della pace e contro i guasti della globalizzazione liberista sono anche le vere manifestazioni contro il terrorismo, a differenza di quella, forviante e partigiana, a sostegno dell’intervento armato anglo-americano in Afghanistan che le destre stanno malinconicamente organizzando a Roma in questi giorni.

Brindisi, 1 novembre 2001

Michele DI SCHIENA